Episodio di vita vissuta.
Nel nostro ufficio c’è una ragazza in stage (che magari finirà a leggere questo blog e si riconoscerà, ma tant’è…). Bravissima ragazza, intendiamoci. Comunque, ha 22 anni. L’altro giorno si parlava così, del più e del meno, e mi fa:
“Ma scusa, ma tu quanti anni hai?”
Segue una breve fase di palleggio “ma quanti me ne dai”, bibì e bibò, eccetera eccetera, e alla fine le comunico di avere i canonici 43 anni che la carta di identità mi assegna.
Ci pensa un po’, rimane stupita, e poi mi fa, candida:
“Anche i miei genitori hanno 43 anni!”
Se fosse un libro di Moccia staresti cercando il suo perizoma in giro per l’ufficio.
Caro amico,
c’è un salto che noi “della nostra età” dobbiamo prima o poi fare ed è quello che è al di là di quella linea immaginaria che divide la gioventù dall’essere adulti e ti porta a non sconvolgerti più quando qualcuno sottolinea il fatto che sei “vecchio/a” (che è esattamente quello che pensavamo noi a vent’anni dei quarantenni!).
Per la nostra sanità mentale è una consapevolezza che dobbiamo acquisire, anzi, diciamola tutta, dovremmo già aver acquisito da qualche anno. Sì, perché è ridicolo considerarci “ragazzi” con le rughe sulla faccia, i capelli che imbiancano e i rotolini di grasso sulla pancia! E’ ridicolo per noi donne insistere con i vestiti da ragazzine con l’inevitabile effetto “dietro liceo, davanti museo”! Io, posso dire con sollievo, di aver preso pienamente coscienza di tutto ciò e di aver fatto il salto esattamente allo scoccare dei 38 anni… poi è chiaro che quando ci troviamo “tra noi”, ma solo tra noi, possiamo continuare a chiamarci “ragazzi”.
E poi, dai, è tutto relativo! Per i sessantenni noi SIAMO dei ragazzi!
Mia nonna, arzilla vecchietta ottantenne, un giorno mi disse: “ecco che vièn a catàrme e tose”; aspettandomi di veder arrivare delle giovani, curiosa anche di conoscere chi erano ‘stè ragazze che venivano a trovare mia nonna, mi giro e le vedo arrivare: la più giovane aveva 65 anni!