Amara discussione oggi in pausa caffè – nessuna relazione con il numero di palle di zucchero selezionate nel distributore automatico – sul ricambio generazionale e sulla situazione italiana.
Ormai lo sappiamo che il ricambio generazionale nella gestione del potere all’estero è una realtà. Obama (classe 1961) è la punta dell’iceberg, ma volendo uno potrebbe ricordare che pure Zapatero è del 1960 – e non a caso pare che i due vadano d’accordo – e in fondo anche Sarkozy non è poi molto lontano (1955). Comunque, non è una questione limitata solo al potere politico.
In Italia la gerontocrazia è più inamovibile che mai e, di nuovo, non solo in politica. Certo, guardare alla politica è facile: non più tardi di due anni fa siamo andati a votare dovendo scegliere, a dieci anni di distanza dalla prima volta, fra le stesse due persone, uno del 1936 (il nostro attuale capo) ed uno del 1939 (il predecessore, che a vederlo pare il più vecchio e invece è pure il più giovane dei due). I ricambi, del resto, non ci sono, nessuno li ha mai fatti crescere: è stato proprio il capo a dire allegramente che lui si ritirerebbe anche, ma non vede all’orizzonte chi possa sostituirlo, e allora gli tocca tirare avanti. Magari, senza l’abominevole legge elettorale che ci ritroviamo (voluta, indovina indovinello, da chi?) e che dà il suo bel contributo al mantenimento dello status quo, qualcosa di nuovo potrebbe anche succedere. Invece, siamo qui: se questo Governo arriverà a fine legislatura, per allora l’insostituibile capo senza eredi all’orizzonte avrà 77 anni. Ne dimostrerà molti di meno, ma saranno sempre settantasette.
Ma la questione non si ferma lì. I “salotti buoni” di economia e finanza, le stesse banche, le funzioni dirigenziali di moltissime aziende, i consigli di amministrazione di gran parte delle società quotate in borsa, i “centri del sapere”, scuole ed università, le corporazioni dei professionisti, le associazioni di categoria, i mezzi di informazione classici eccetera eccetera eccetera: in Italia gran parte dei principali snodi di potere resistono con tutti i mezzi al ricambio generazionale. E con le persone si perpetuano anche i metodi di fare le cose, che è pure peggio: il modo con cui vengono fatti i colloqui di selezione per i giovani che cercano lavoro, quello con cui le banche valutano i finanziamenti alle imprese innovative, quello con cui i media trattano, considerano e comunicano la Rete ed il nuovo inarrestabile mondo che porta con sé. Ma in Italia, oggi, sul lavoro, a 40 anni vieni spesso considerato ancora giovane, e a volte pure troppo (sic).
Un giorno anche questa classe dirigente passerà a miglior vita. E – ammesso che sia ancora possibile – per recuperare il divario con le altre nazioni ci toccherà accelerare i tempi, fare “largo ai giovani”. E probabilmente la generazione di mezzo, quella che ha dovuto sgobbare e sudare per tenere in piedi la baracca, consumando lentamente tutto il credito di fiducia in quelli che comandavano, vedendosi spostare in avanti l’età pensionabile talmente tante volte fino a non crederci neanche più, insomma, cazzo, la mia generazione… ecco, saremo noi quelli a cui toccherà farsi da parte e prenderlo in quel posto senza aver avuto la possibilità di dimostrare di poter fare qualcosa di buono, oppure quelli che, in base alla logica ‘eccheccazzo, adesso tocca a me’, continueranno a perpetuare il sistema senza futuro, passando ai nostri figli l’onere di doversi mettere a 90°.
Davvero due belle opzioni di scelta.