Ci son mille motivi per cui una persona diventa tifosa di una squadra. E ce ne sono mille per cui smette o non smette di esserlo.
Io sono juventino da quando ho iniziato a capire cosa è il calcio, a comprendere perchè a mio papà piacevano quelle maglie bianconere, cosa rappresentavano e gli anni di storia che si portavano dietro. Ricordo benissimo la prima volta che papà mi ha portato a vedere al bar una partita di calcio. Era il 1973, la TV a colori ancora c’era e non c’era, ma la Juve era in finale di Coppa dei Campioni contro il leggendario Ajax, quello vero, con Crujff, Neeskens, Rep, Krol, i gemelli Van de Kerkhof eccetera eccetera, quindi l’occasione meritava una puntata al bar. Da quella volta non ho mai più abbandonato la mia squadra del cuore, neanche nel periodo peggiore. Semplicemente, avevo più motivi per essere orgoglioso di esserne tifoso di quanti ne avevo per non esserlo più.
Il football americano è una storia più giovane. La passione per i Miami Dolphins nasce con le prime telecronache che arrivano in Italia, e la figura di questo giocatore dal cognome italiano, Marino, che lancia palloni incredibili da tutte le parti. E poi, un po’ alla volta, ho imparato a conoscere meglio il gioco e l’attrazione per i Dolphins mi ha fatto scoprire la storia che le divise aqua-arancio si portano dietro. A differenza della Juventus, i Dolphins non hanno vinto praticamente nulla in questi anni, nonostante la presenza di Marino. E come la Juventus hanno appena vissuto un periodo buio, pieno di delusioni, di sconfitte e di poche cose da ricordare per i tifosi. Ma ora la tendenza si è invertita, quest’anno abbiamo vinto il titolo divisionale, che non sarà molto ma è sempre qualcosa, ed è tornato l’ottimismo per il futuro.
Come sempre, è questione di crederci. Che poi è quello che un vero tifoso sa fare meglio.